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Relazione tra distribuzione geografica del consumo di sodio e potassio e variazioni socioeconomiche

I dati raccolti con il progetto Minisal-GIRCSI sono stati utilizzati per studiare la relazione tra variazione geografica dell’assunzione di sodio e potassio e variazioni socioeconomiche, in collaborazione con il Centro Collaborativo OMS dell'Università di Warwick. Lo stato socio-economico è stato valutato attraverso 2 indicatori: titolo di studio (laurea, scuola superiore, scuola media, scuola elementare o equivalente) e livello di occupazione (dirigenti, funzionari ed impiegati, lavoratori con basse funzioni manageriali, operai qualificati, operai con bassa qualificazione, casalinghe). L’analisi ha evidenziato che esiste un’associazione lineare tra occupazione e consumo di sale. Gli operai qualificati e quelli a bassa qualificazione hanno un maggior consumo di sale, 5,6% e 6,6% in più rispettivamente, se confrontati con la categoria costituita da funzionari e impiegati. Una relazione simile è stata trovata tra livello di istruzione e consumo di sale: le persone con titolo di studio di scuola elementare e scuola media, se paragonate a quelle laureate, hanno un 7,7% e un 3,9% in più di sodio nelle urine rispettivamente. Ne risulta che le classi sociali svantaggiate hanno un consumo di sale significativamente superiore. Il gradiente socio-economico è indipendente da possibili fattori confondenti, quali età, sesso, indice di massa corporea, ipertensione ed altri aspetti comportamentali, e spiega molto bene la variabilità geografica del consumo di sale.

 

Per quanto riguarda il potassio, non è stata osservata un’associazione consistente tra livello di occupazione o livello di educazione e assunzione di potassio. Tuttavia, le persone con titolo di studio di scuola elementare e scuola media hanno un’assunzione di potassio significativamente inferiore rispetto a quella riscontrata nei laureati. Le differenze nel livello di educazione spiegano solo parzialmente la variazione geografica osservata per l’assunzione del potassio.

 

Lo studio è stato pubblicato sul British Medical Journal.

 

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